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Firenze, 6 Ottobre 2024 (Domenica)
LE SPADE DI SINRASIL

Capitolo 18
La Fenditura dell’Oscurità

Partirono a cavallo di buon mattino. Celen sembrava particolarmente irrequieto, Nim cercò di calmarlo accarezzandogli la criniera. I due fratelli avevano indossato entrambi l’armatura in maglia dell’esercito di Jamoor, la stessa che indossava Nim. Wilhem aveva una pesante spada a due mani al suo fianco. Alyssa una spada leggera ad una sola mano e, a tracolla, un arco e una faretra piena di frecce. Entrambi portavano, sul fianco, anche un appuntito pugnale. I due fratelli indossavano infine un bel mantello blu, bordato in oro, con lo stemma di Jamoor, un albero d’ebano stilizzato realizzato con fili d’argento, che rendeva il loro aspetto molto fiero. Il collo del mantello di Wilhem era giallo ad indicare il suo grado di capitano, quello di Alyssa azzurro poiché era un capo unità. Nim non aveva un mantello, ma aveva la spada di Sinrasil. Wilhem notò il particolare e gli promise che gli avrebbe regalato uno dei suoi tanti mantelli, non appena sarebbero tornati a Cadhor.

Impiegarono un paio d’ore per raggiungere la torre. Nonostante il sole si affannasse con i suoi luminosi raggi, non riuscì a toglierle l’aspetto lugubre e sinistro.

I tre decisero di lasciare i cavalli, legati ad un albero, a circa duecento passi dalla struttura di pietra. A piedi potevano avvicinarsi con la speranza di non essere avvistati. Nessuno dei tre aveva mai visitato la torre e non sapevano cosa li attendesse.

Erano ormai giunti a pochi passi dalla breccia presente alla sua base: tutto sembrava tranquillo. Nessun movimento si avvertiva al suo interno, nessuno sembrava averli avvistati.

Uno dietro l’altro, Nim in testa, entrarono con cautela attraverso la fenditura. Lo spettacolo era desolante. Delle scale diroccate, quasi del tutto inagibili, portavano di sopra. I gradini erano ricoperti da una vegetazione fitta e antica: rovi e rami di vario genere rendevano difficile salirli. Nim creò un varco a colpi di spada e iniziò, con fatica, l’ascesa.

La torre era veramente deserta e abbandonata. Non un’anima viva, né spiriti, né demoni sembravano abitarvi. Raggiunsero infine e con fatica i due merli sulla sommità, ma non trovarono nessuno. Si sedettero sulle antiche e sconnesse pietre, per riposare.

«Eppure Gamil mi aveva garantito che qui vi fosse un demone, di nome Katragas, in possesso dell’anello che sto cercando.»

«Intendi dire la vecchia strega?» chiese perplesso Wilhem aggrottando la fronte.«Sì! La conosci?»

«No! Credevo fosse una leggenda. Si narra che fosse stata imprigionata nell’Antica Abbazia, secoli fa...»

«Invece non sono una leggenda!» risuonò una voce di vecchia e, poco dopo, la strega nana si materializzò in mezzo a loro.

I due fratelli sobbalzarono e sguainarono immediatamente le spade. I loro cuori martellarono all’unisono.

«Fermi, non fatelo», ordinò Nim, «sentiamo prima cosa ha da dire, stavolta.»

«Vedo che hai infine deciso di prendere l’anello. L’altra volta hai avuto paura!»

«Sai benissimo che non è stato per paura, strega!» le urlò Nim in faccia e con disprezzo.

«Invece sì, anche se non è il genere di paura a cui stavi pensando ora. Avevi paura che io t’ingannassi e che volessi usarti come strumento per impossessarmi dell’anello. Ebbene, la tua paura è giustificata. Ma devi correre il rischio se vuoi tentare di ottenerlo», disse, in un risolino malefico, la strega.

«Se t’interessa tanto l’anello, perché non lo prendi da sola?» si adirò Nim agitando un braccio.

«Io desidero quell’anello più di te, ma non posso prenderlo a Katragas, egli, con il potere dell’anello, mi annienterebbe», spiegò Gamil.

«Katragas, il Signore della Torre dei Demoni, sembra che sia una tua fantasia. Qui non c’è nessuno. Qual è il motivo delle tue bugie?» chiese Nim adirato, mettendo la mano sulla spada.

Gamil ebbe un sussulto di paura e Nim lo avvertì. «Ma certo! Bugie, tu sai solo dirmi bugie. Ho capito solo ora che temi la mia spada. Essa potrebbe farti fare la fine del tuo servo, il demone Lewyn», e così dicendo sguainò la spada di Sinrasil, puntandola sul collo della strega.

«Va bene. È vero, ho paura della tua spada, ma solo perché tu potresti perdere il controllo del suo potere: com’è successo nell’Abbazia», ammise la strega. «Ma sull’anello di Sinrasil e su Katragas non ho mentito.» Poi proseguì, con espressione convincente: «Non ti ho mai detto, però, che lui fosse qui, alla torre.»

«Dove si trova allora? Dimmelo strega, prima che perda la pazienza», urlò Nim spingendo la spada sul collo della vecchia nana.

«Nel regno dei demoni, vale a dire sotto terra. La Torre nasconde, semplicemente, il suo ingresso: la Fenditura dell’Oscurità. Ora devo andare, buona fortuna nemico mio» e, ciò detto, la strega si dileguò, con l’eco di una prolungata risata.

«La Fenditura dell’Oscurità?! Mai sentita nominare», disse Alyssa perplessa, poi ipotizzò: «Forse si trova alla base della torre.»

«Lo credo anch’io, andiamo giù e controlliamo il terreno, palmo per palmo», concordò Nim avviandosi verso il basso.

I tre scesero gli scalini pensando all’inutile fatica che avevano fatto per salire lassù. Erbacce, arbusti e rovi avevano completamente ricoperto il pavimento della torre e non fu facile esplorare. Usarono le spade per aprirsi dei varchi e nella speranza di mettere a nudo la fenditura. Ma per quanti sforzi facessero, niente. La torre aveva una pianta esagonale e l’unica fenditura che vedevano era la breccia su uno dei sei lati, l’apertura da cui erano entrati.

«Possibile sia già notte fuori?» osservò Wilhem guardando oltre la breccia.

«Certo che no, siamo arrivati qua poche ore fa, è ancora mattina», assicurò Nim.

«E allora perché è buio fuori della breccia?» confermò Alyssa allarmata, indicando la fenditura.

«Per tutti gli dei!», esclamò Nim, «Non fuori della breccia, ma dentro. È quella la Fenditura dell’Oscurità: si tratta di un ingresso magico. Andiamo!»

Nim, spada in pugno, avanzò con cautela seguito, nell’ordine, da Alyssa e Wilhem. Avevano imboccato uno stretto e buio cunicolo scavato nella roccia e in lieve discesa. Camminavano tentoni, non avevano pensato a portare delle torce.

Nim avvertì i suoi compagni: «Fate attenzione! Tenete giù la testa, qui il cunicolo è basso e dal soffitto spuntano delle rocce appuntite come denti di drago.»

Per fortuna, dopo una ventina di passi, il varco sotterraneo si allargò in una grande grotta; Nim avvertì di nuovo Wilhem e Alyssa: «Attenzione anche qui! Tenetevi accostati alla parete rocciosa a sinistra, perché a destra c’è una ripida scarpata.»

Il sentiero girava attorno alla caverna scendendo in basso e raggiungendo il fondo della scarpata di cui parlava Nim. I tre videro provenire un leggero chiarore proprio da quella direzione. Erano scesi di parecchi metri, quando raggiunsero il fondo della caverna. La tenue luce, che avevano visto, li raggiunse dalla loro sinistra.

Qui finiva la roccia e iniziava un’arcata costruita, forse da mani umane, con grandi blocchi, di pietra squadrata, lucidi per l’umidità. Attraversato l’arco, entrarono in una stanza interamente costruita con gli stessi umidi blocchi di pietra: una grande anticamera.

I tre furono assaliti da un tremito di terrore. Sulla parete di fronte si stagliò un’enorme bocca spalancata, sovrastata da una fila di denti candidi e affilati. I due canini scendevano sinistri verso il basso, come appuntiti e spessi pugnali, per una lunghezza pari al doppio degli altri denti. Si trattava di un’apertura, una porta. Ma ciò che rendeva ancora più spettrale l’aspetto della porta, erano le due profonde orbite scure ai lati superiori di un’altra apertura a forma di cavità nasale. In ognuna delle nere orbite riluceva una rossa luce sinistra, che rendeva viva l’immagine della porta: un teschio con due occhi fiammeggianti che osservavano minacciosi, a guardia dell’anticamera.


... In ognuna delle nere orbite riluceva una rossa luce sinistra ...

Sulla parete di sinistra erano stati costruiti due archi più piccoli di quello da dove erano entrati, il primo chiuso da un muro, il secondo costituiva l’inizio di un corridoio. Anche sulla parete di destra erano presenti, in perfetta simmetria, due archi. La sola differenza era l’inversione dell’arco aperto: un corridoio si dipartiva dal primo arco, mentre il secondo era chiuso dal muro.

Il soffitto era magistralmente costruito, sempre con gli stessi blocchi di pietra, a formare un’ampia volta a crociera.

«Ci sono due corridoi e l’ingresso di un antro attraverso la bocca. Credo che dovremo entrare in quell’orrida porta, però voglio sincerarmi che non ci siano sorprese o agguati. Direi di esplorare i due corridoi prima», disse Nim dirigendosi verso il corridoio alla sua sinistra.

«Tu Wilhem rimani qui, sull’ingresso del varco, per coprirci le spalle, Alyssa ed io andiamo a vedere», disse Nim incamminandosi, subito seguito dalla guerriera.

Non dovettero fare molti passi per constatare che il corridoio era vuoto, non c’era nessuno e, inoltre, terminava ben presto, chiuso da massi franati. Con lo stesso procedimento imboccarono l’altro androne. Lo percorsero con cautela, sentivano, nell’irreale silenzio, rimbombare il rumore dei propri passi e il suono regolare di gocce d’acqua che trasudavano dalle pareti e dal soffitto per infrangersi sul pavimento. Nim e Alyssa svoltarono a sinistra seguendo il corridoio.

«Wilhem vieni!», risuonò improvviso il richiamo di Nim.

Erano giunti in un’anticamera, simile alla precedente, ma più piccola, e dotata di una sola apertura: sulla parete di sinistra un’altra orrida bocca, una forma di teschio gemella della prima. Con la precedente costituivano due porte che introducevano, probabilmente, alla stessa stanza.

«Bene! Entriamo» disse Nim con sicurezza.

Attraversata l’agghiacciante bocca, si ritrovarono in un ballatoio circondato da colonne quadrate, realizzate con blocchi di pietra.

«Attenzione!», avvertì ancora una volta Nim, «Siamo in una specie di balcone. Oltre le colonne c’è il vuoto di un’enorme caverna. Seguite i miei passi.»

Nim si mosse con cautela, tenendo la spada sguainata, curvò a sinistra seguendo il ballatoio. Dopo pochi passi il balcone si diramò a destra, passando davanti alla prima porta. Superato l’antro, Nim iniziò a scendere, sempre seguito dai due fratelli Jarret, i gradini in pietra, dirigendosi verso la base dell’enorme grotta naturale. Al centro di essa uno smisurato pilastro di roccia sembrava sostenere tutto il peso dell’estesa volta della caverna. I tre oltrepassarono la gran roccia, con estrema cautela.

«Benvenuti! Vi aspettavo», una voce rimbombò, grave e solenne.

I tre sobbalzarono in un brivido freddo.

Sotto il ballatoio, su cui erano passati, c’era una stanza illuminata da quattro torce poste su altrettanti pilastri. Tra i due pilastri centrali c’era uno scranno in cui era seduta una figura terrificante e affascinante al tempo stesso.

Katragas sorrideva evidenziando una dentatura con canini molto sviluppati, del tutto simile a quella presente sulla sommità delle porte che avevano visto di sopra. Anche gli occhi avevano un ché di simile, sembravano fiammeggiare. Due scure e piccole pupille all’interno della rossa iride. Le orbite erano incavate ai lati di un grosso naso adunco e sormontate da due arcate sopraciliari irregolari, dallo strano andamento simile ad un onda triangolare, e completamente glabre. Il mago aveva perso le caratteristiche della sua razza fillicena originaria, ed ora aveva assunto, forse dopo demoniache manipolazioni del suo corpo, la tonalità azzurra della pelle dei nay tan, le pupille rosse dei tua tan e le orecchie appuntite degli elfi.

Dalla testa scendevano lunghi fili di capelli neri e appiccicosi come la pece, quasi a voler emulare, in questo, la strega Gamil. Indossava un’ampia tunica, di colore marrone scuro, cinta alla vita da un cordone in fibre d’oro fini e lucenti. Anche le orlature della tunica erano ricamate con leggere pagliuzze d’oro. Le braccia erano appoggiate sui sostegni laterali dello scranno. Nel dito anulare della mano destra brillava lo zaffiro dell’anello di Sinrasil.

La visione procurò un balzo nel petto dei tre avventurieri. Ma ciò che colpì, più di tutto, fu la piccola figura in piedi accanto al demone: era Gamil, la strega.

Nello stesso istante del benvenuto, sei uomini di Katragas occuparono il ballatoio superiore tagliando loro qualsiasi possibilità di ritirata.

«Gamil! Mi hai ingannato di nuovo», urlò Nim, agitando la spada in direzione della strega, «solo ora ho capito! Tu non volevi l’anello, ma ti proponevi di procurare la spada di Sinrasil al tuo padrone.»

«Meglio tardi che mai!», parlò la strega, emettendo una sarcastica risata, «Ci sei arrivato! Ma la tua visione della situazione non è ancora del tutto chiara. Non credo di averti ingannato, perché ti ho avvertito prima. Odio i grundiani, con altri non l’avrei fatto, ma per te ho fatto un’eccezione, tallen vat!»

«Rimandate a dopo i vostri convenevoli!», intervenne Katragas con voce suadente, «Ora Nim, portami la spada», proseguì allungando una mano verso di lui.

«A cosa ti serve la spada?» chiese Nim.

«Alla stessa cosa che serve a te, a spazzare via i tamrai dalla Terra di Grund», spiegò affabilmente Katragas.

«Vuoi il trono della Terra di Grund? E cosa se ne fa uno spirito di un trono?» chiese Nim perplesso.

«Io non sono uno spirito, mi chiamano demone, ma in realtà sono un umano come te, sono un grande mago», spiegò Katragas.

«Quindi pensi che la spada e l’anello, insieme, nascondono un potere così grande da permetterti di arrivare al trono?», chiese Nim per guadagnare tempo.

«I due oggetti insieme hanno un potere inimmaginabile per te, Nim. Unito al mio potere di mago, mi renderanno invincibile», chiarì Katragas.

Buono a sapersi” pensò Nim, poi rivolto a voce bassissima verso i suoi amici disse: «Alyssa stammi vicina, qui alla mia sinistra, pronta a colpire con la tua spada, appena consegnerò la mia al mago», Nim bisbigliò, abbassando ulteriormente la voce, altre istruzioni ad Alyssa, che annuì.

«Non ti consegnerò mai la spada, dovrai venire a prenderla», gridò Nim verso Katragas, sollevando al cielo la lama di Sinrasil.

Il mago alzò il braccio destro verso Nim, urlando «Verk taik.»

Nim sentì il braccio irrigidirsi, non riuscì più a muoverlo, ma non si scompose: «Anche la strega ha usato questa magia, ma io l’ho superata, dopo pochi attimi.»

«Può darsi, ma il tempo sarebbe sufficiente ai miei uomini per ucciderti e far fuori anche i tuoi amici», sogghignò il mago.

«Va bene, hai vinto! Ti consegnerò la spada, ma ad un patto», propose Nim.

«Non sei nella condizione di dettare patti, ma ti ascolto», disse con magnanimità Katragas.

«So che non permetterai di farmi uscire vivo da qui. Voglio solo che tu non uccida i miei due amici.»

Katragas si alzò dal suo scranno e parlò con voce grave: «Non m’interessa la vita dei tuoi amici. È la tua che voglio, tallen vat, perché potresti trovare l’altra spada e rimetterti sulla mia strada. Ti prometto che i tuoi amici potranno andare via, nel momento in cui mi consegnerai la tua spada.»

«Va bene, vieni a prenderla», disse Nim ponendo la spada appoggiata nelle sue mani, con l’elsa sopra la sua mano sinistra, e protraendo avanti le braccia.

Il mago si avvicinò con la cupidigia negli occhi. «Finalmente sei mia!», disse protendendo la mano destra e impugnando la spada.

«Ora Alyssa», urlò Nim.

Un preciso e deciso colpo di spada della guerriera si abbatté sul polso proteso del mago recidendogli la mano di netto. Un urlo agghiacciante uscì dalla gola del mago, mentre un grosso fiotto di sangue sgorgò dal suo moncone e un profondo stupore apparve sul suo volto.

Nim raccolse la spada e sfilò l’anello dalla mano recisa infilandolo al proprio dito. L’uomo fu invaso da una sensazione nuova, la sua mente sembrò svuotarsi, i pensieri divennero chiari. Brandì la spada sollevandola verso l’alto, la lama si circondò di un alone azzurro, mentre i due zaffiri si accesero contemporaneamente emettendo un rosso bagliore.

Nim colpì il mago, che reggeva dolorante il suo moncherino, e lo trafisse al cuore.

La paura apparve sul volto di Gamil che con la sua solita trasformazione svolazzò via, lanciando un avvertimento: «Sappi ragazzo, che io non ho, e non ho mai avuto, padroni! Ti assicuro che mi rivedrai.»

I sei uomini del mago stavano intanto attaccando Wilhem in retroguardia, al suo fianco era, però, già Alyssa. Quando anche Nim si gettò nella mischia, gli uomini del mago furono presto sbaragliati.

«Brava Alyssa, sei veramente un’ottima guerriera. Niente a che vedere, però, con le tue qualità di cuoca», disse Nim sorridendo e tirando un sospiro di sollievo.

Alyssa non seppe mai se l’affermazione di Nim, sulla sua cucina, fosse stata ironica.



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