Libro



Francesco Colella su Facebook

Nr. pagine viste:
1

Firenze, 27 Luglio 2024 (Sabato)
LE SPADE DI SINRASIL

Capitolo 19
Viaggio incrociato

Erano passati tre giorni dalla sua cattura e dalle percosse subite. Ecyl ormai si sentiva bene e in gran forma. Agor era appena rientrato da una delle sue solite escursioni di metà mattina.

I due parlavano molto della situazione in cui si trovavano. Ecyl faceva moltissime domande, ad Agor, sui suoi genitori e faceva spesso congetture su chi fosse realmente Nim: non voleva accettare la possibilità che si trattasse di suo fratello. Agor riusciva, però, a smontare, puntualmente, le sue fantasiose ipotesi, il risultato di quelle discussioni portava sempre alla solita conclusione: Nim apparteneva all’Albero Sacro, questo era un punto su cui Agor non nutriva dubbi. In quanto tale non poteva che essere il figlio di re Inghard, scampato alla morte all’insaputa di tutti.

L’ultima discussione, tra i due, fu interrotta dal bussare alla porta.

«Vado io ad aprire, stai pure comoda, qui sul lettino», le disse il mago.

Era Mara. Ecyl la sentì parlottare con Agor senza però comprendere cosa avesse detto: la donna sembrò però agitata. Il mago le diede qualche rapida istruzione, scuotendo le mani, e Mara si allontanò di corsa.

«Qualche problema Agor?» chiese preoccupata la ragazza.

«Vorrei tanto risponderti no, ma non è così. Dobbiamo andare via subito da Filla. Qua non siamo più al sicuro: i tamrai stanno setacciando la città e cercano proprio noi due. Sembra che il generale Kaf Kep Nay si sia innamorato del tuo anello», rispose Agor. Un’espressione preoccupata si dipinse sul suo volto, mentre continuò a parlare: «Ho detto a Mara di far sellare i cavalli. Mettiamo, in fretta, quello che ci serve nei nostri zaini e andiamo via.»

Mara tornò subito: portò un vestito per Ecyl. Era una tunica di velluto e damasco dal corpetto color oltremare ed una gonna di una tonalità azzurro più chiara, solcata da larghe righe verticali color oro. Il colletto e i bordi delle maniche si richiamavano a questo colore. Un alto bordo in raso terminava la base della gonna, toccando terra.

Una leggera catena, a grosse maglie in oro, cingeva la vita. Ecyl però la tolse sostituendola con la sua vecchia cintura di cuoio che supportava il fodero con la sua spada e una piccola bisaccia. Inoltre strappò via la base in raso.

«Così potrò muovermi con meno impaccio», disse riscuotendo l’approvazione di Agor, che annuì.L’arco e la faretra erano appesi alla sella di Bora, così pure lo zaino con i suoi oggetti.

«Io sono pronta!» disse infine al mago.

«Sei sicura di stare bene?» chiese Agor, la cui preoccupazione non accennava a sparire dal volto: sembrava che le rughe sulla sua fronte fossero moltiplicate.

«I tuoi impacchi sono miracolosi, Agor. Ho la sensazione come se un cavallo mi fosse passato addosso, ma sto bene», lo rassicurò Ecyl, «Dove andiamo?»

«A Riland, a casa mia, dove sei nata anche tu. Là, penso che saremo al sicuro. Almeno lo spero», disse il mago, «Ci saremmo dovuti andare in ogni modo. È da quelle parti che ho nascosto la tua spada di Sinrasil. Ti è stata assegnata da quando fosti abbandonata sulle acque del Narn. Devi assolutamente averla, è un’arma potente, e dovrò insegnarti ad usarla nel modo migliore.»

Si avviarono a cavallo, ponendoli al passo, verso la piazza Centrale. Passarono davanti alla locanda del Corno Bianco e al tempio di Maelma, raggiunsero quindi piazza del Mercato. Entrati in essa, curvarono a sinistra e videro in lontananza, ad oltre mezzo chilometro, in fondo alla lunga e dritta via, la porta Nord della città. Finora le cose erano andate bene: non avevano incontrato pattuglie o ronde tamrai.

«Ora dovremo superare le guardie alla porta», si lamentò Agor, «Non sarà facile uscire, perché i tamrai stanno cercando proprio noi.»

«È buffo! Solo tre giorni fa mi sono fatta quasi ammazzare per tentare di entrarvi», disse amaramente la ragazza. Quel pensiero la riportò al motivo per cui era venuta a Filla: pensò a Nim. La ragazza fermò Bora e parlò decisa al mago: «Non ho trovato Nim, ero venuta qua per questo. Non possiamo andare via.»

«Invece dobbiamo andare!», rispose risoluto il vecchio con una voce energica e un’espressione truce che non aveva mai usato nei confronti della ragazza, men che meno, da quando lei era, ufficialmente, la sua principessa. Agor continuò, però, a rivolgersi verso Ecyl con tono imperioso e perfino minaccioso: «Non ti farò mettere a repentaglio la tua vita, per cercare quel ragazzo.»

«Dimentichi che quel ragazzo è mio fratello!» insisté la ragazza ribellandosi e alzando il tono della voce.

Il mago la guardò aggrottando la fronte e le impose di tacere mettendo un dito davanti alla bocca, poi prese le redini di Bora e la trascinò all’interno di un vicolo stretto abbandonando in fretta la via principale.

Fatti pochi passi nel vicolo, il mago si fermò e la rimproverò, anche se a bassa voce: «Vuoi farci catturare?! Perché ti sei messa a urlare? Guarda!», disse il mago indicando la strada da cui si erano allontanati.

In quell’istante un drappello tamrai, a passo di marcia lungo la strada principale, oltrepassò l’imboccatura del vicolo, in direzione della porta nord.

«Scusami Agor. Mi dispiace, non volevo. Ma per me Nim è importante», disse Ecyl con mestizia, ma continuando a rimanere ferma sulla sua posizione.

«A maggior ragione! Nemmeno lui vorrebbe che tu rischiassi la tua vita. Oltretutto potrebbe già aver lasciato Filla, visto che aveva anch’egli i tamrai alle calcagna.» La voce di Agor era ferma, ma meno aspra di prima. Cercava di persuadere la testarda ragazza, che la cosa migliore da fare era quella di abbandonare la città.

Infine Ecyl si convinse: quello che diceva il mago era vero, forse aveva ragione. Avrebbe pensato a Nim in momenti più propizi. «Va bene!», disse infine la ragazza, «Andiamo via da Filla.»

«Tentiamo, di andare via», corresse il mago, «e speriamo di riuscirci», si augurò.

Agor aspettò il tempo giusto per far sì che la ronda fosse lontana, quindi tornò sulla via principale e svoltò in direzione della porta.

Erano ormai arrivati a ridosso delle mura della Caserma Nord, che sovrastavano la strada, sulla destra, prima che questa s’immettesse nel Piazzale Nord, antistante la porta. I due scesero da cavallo: Agor si avviò avanti seguito da Ecyl, che teneva le redini dei due cavalli.

«Folgore tuonante!», imprecò Agor, «I tamrai fanno sul serio. Ben cinque guardie alla porta. Non posso usare la tela paralizzante, sono troppi. Riesco a tenerne sotto controllo al massimo tre.»

«Lascia fare a me. Ci penserò io a portartene via almeno un paio», disse Ecyl convinta.

«Non farai mica come quando hai tentato di entrare?» il mago la guardò preoccupato.

«Stai tranquillo! Ho imparato la lezione», lo rassicurò la ragazza, mentre con un laccio legava i capelli, dietro le spalle, a formare una coda.

Ecyl si avvicinò a Bora, l’abbracciò sul collo e iniziò a parlarle: «Ascoltami occhi blu, ci avvicineremo alle guardie. Appena li saluterò tu galopperai, da sola, fuori dalla porta, senza fermarti. Non mi tradire un’altra volta, ti prego.»

La cavalla nitrì e sembrò confermare di aver capito.

«Cosa vuoi fare?» chiese il vecchio allarmato.

«Ora vedrai. Ho bisogno di cavalcare il tuo cavallo, se me lo presti», disse con un sorrisetto che Agor non le aveva mai visto.

Ecyl accarezzò Xinas, per ingraziarsi le sue simpatie, quindi montò sul suo dorso. Il baio sembrò recalcitrare per un istante, ma poi anche Agor lo rassicurò accarezzando la folta criniera nera. Ecyl sistemò, con cura, l’arco e la faretra a tracolla, poi prese con una mano le briglie di Bora e avviò Xinas al passo verso i soldati di guardia. La cavalla bianca la seguì, tranquilla, trotterellando accanto a Xinas.

Quando Ecyl giunse vicino al corpo di guardia davanti alla porta, appellò i tamrai: «Ehi, bei soldati! Sapreste indicarmi una buona stalla per i miei cavalli?»

Bora, però, non partì al galoppo, come la ragazza aveva pianificato, rimase invece immobile accanto a lei, alla sua sinistra, con disappunto di Ecyl, che digrignò i denti.

Uno dei soldati, che sembrava il capo delle guardie, come indicava anche il suo elmo ad una punta, si avvicinò alla sua destra. «Bella fanciulla, tra un’ora finisco il turno di guardia, se aspetti ti accompagno io alla migliore stalla di tutta Filla», le disse languido.«Fantastico!», urlò Ecyl. Bora rimase impassibile, ferma sulle zampe: non si decideva a mettere in atto il piano concordato.

Ecyl era furibonda con la cavalla, dalla rabbia le avrebbe tirato un calcione. “Ma, sì”, penso la ragazza e col piede sinistro, senza farsi vedere, le sferrò un calcio sulla pancia. Bora nitrì e partì al galoppo, diretta fuori dalla porta.

«Il mio cavallo, aiutatemi a riprenderlo», urlò Ecyl lanciando Xinas al suo inseguimento.

Il capo del posto di guardia ordinò: «Voi due, presto, andate ad aiutare la ragazza.» I due tamrai, apostrofati dal capo, saltarono a cavallo, lanciandosi anche loro all’inseguimento.

«Diavolo di una ragazza!» sorrise il mago, osservando la scena.

Agor si avvicinò ai tre soldati, rimasti a guardia della porta, con passo deciso.

«Ehi tu, vecchio, dove vai? Fermati!» intimò il capo delle guardie.

«Fermatevi voi, piuttosto», disse il mago sollevando il braccio verso di loro e pronunciando la magia: «Verk taik», sibilò Agor tra i denti.

I soldati furono subito immobilizzati nella tela magica e Agor s’incamminò sicuro, a passo svelto, fuori delle mura. Il mago seguì la direzione presa da Ecyl e dai due tamrai usciti a cavallo.

Ecyl aveva fermato Xinas e si era nascosta dietro un cespuglio. Vide arrivare i due tamrai da lontano. Prese il suo arco e incoccò la freccia. Attese, pazientemente, che il primo fosse passato e scoccò sul secondo con micidiale precisione. La freccia si conficcò fra la scapola sinistra e la colonna vertebrale, il tamrai stramazzò al suolo senza un grido. L’altro soldato non si accorse subito della sorte toccata al compagno. Fermò il cavallo solo quando non udì più il galoppo dietro di sé. Si voltò indietro preoccupato. Vide il commilitone, un centinaio di metri più in là, disteso a terra, con la faccia nella polvere e una freccia conficcata nella schiena. Senza pensarci su, si lanciò al galoppo in direzione del compagno d’armi. Ecyl incoccò una seconda freccia e mirò accuratamente. Il tamrai, però, saltò da cavallo, proprio mentre lei scoccò. Lo mancò di una buona spanna.

Non c’era tempo per un’altra freccia, Ecyl gettò l’arco a terra e sguainò la spada. Il tamrai si avvicinò furioso roteando la spada in aria. Il soldato era forte e iniziò a vibrare veementi colpi, a due mani, con la sua spada.

La ragazza, inesperta con la lama, non poté competere con l’abilità e la forza del soldato. Ecyl mise, in ogni modo, tutta l’energia e l’agilità, di cui era capace, nel parare i colpi. Il tamrai vibrò una tremenda mazzata con la spada: essa fu particolarmente ben assestata e la lama di Ecyl volò via dalle sue mani, come un fuscello.

Il tamrai puntò la spada alla gola della ragazza: «Ora morirai, donna; pagherai l’assassinio del mio amico», disse con ferocia digrignando i denti e inclinando la testa. Ecyl calcolò, mentalmente, la distanza in cui potesse trovarsi Agor: capì che era ancora troppo lontano. Chiuse gli occhi: doveva finire così la sua vita? Così aveva deciso Maelma? La punta della spada, però, non sprofondò nella sua carne. Ecyl sentì, sul suo collo, la pressione della lama allentarsi. Riaprì gli occhi e notò una strana incertezza nello sguardo del soldato, questi stava fissando il suo viso e sembrava quasi terrorizzato.

«Tu! Tu sei la donna fuggita dalla torre?!» esclamò quando la riconobbe. Guardò la mano della ragazza e notò l’anello bramato dal generale. Egli era uno dei soldati che l’avevano catturata, e torturata, qualche giorno prima. Col nuovo vestito che aveva addosso e con i capelli legati, non l’aveva subito riconosciuta.

Il tamrai pensò agli ordini del generale: si sarebbe amaramente pentito chi le avesse torto anche un solo capello, la voleva viva. Tolse subito la spada dalla gola della ragazza. Poi le prese un braccio e glielo torse dietro la schiena.

«Ahi! Mi fai male», si lamentò Ecyl.

«A te, penserà il generale», disse soddisfatto il soldato. Stava già immaginando la ricompensa. Kaf Kep Nay sapeva essere tanto spietato con chi lo deludeva, quanto generoso con chi lo compiaceva.

«Torniamo a piedi», disse il tamrai, «ai cavalli penserò dopo.»

«Ti risparmio la fatica!», disse Agor lanciando una magia. «Ferr tul», sussurrò puntando la sua mano verso il tamrai.

Un dardo di fuoco si sprigionò dal suo palmo e saettò colpendo, in pieno petto, il tamrai che fu sbalzato all’indietro e poi si accasciò, con un flebile gemito, a terra.

Ecyl, ancora sotto shock, corse incontro al mago e l’abbracciò con forza.

Agor ricambiò l’abbracciò. «È tutto finito, tranquilla, mia piccola Ecyl», le disse con dolcezza, mentre le accarezzò i capelli con gesto affettuoso.

Poi le fece un complimento che la rese felice: «Sei stata veramente brava, poco fa. Ora, però, dobbiamo recuperare i cavalli.»

«Il tuo è qui, l’ho fermato oltre quell’albero. E vedrai che tra poco spunterà anche Bora, so che gli piace Xinas, per questo prima non si decideva a partire», rise Ecyl, già ripresasi dalla brutta esperienza di poco prima. Era questa la sua forza: un carattere che nulla riusciva ad abbattere, d’altronde le terribili esperienze vissute l’avevano ben temprato.

Ecyl ebbe ragione, Bora era già tornata da Xinas e i due cavalli pascolavano, tranquilli, uno accanto all’altro.

Nim, Alyssa e Wilhem erano usciti dalla fenditura ed erano tornati ai cavalli.

«Che cosa facciamo ora?» chiese Wilhem, mentre slegava il suo cavallo dall’albero.

«Voi, non lo so!», rispose Nim, «Io devo tornare a Pewick. Voglio ritrovare una persona a cui tengo molto.»

«La tua ragazza?» chiese Alyssa.

«Non so se sia la mia ragazza», rispose abbassando gli occhi, «so solo che devo ritrovarla.»

«Veniamo con te!», disse Wilhem, «Potresti, ancora, avere bisogno del nostro aiuto.»

«Sappiate che non è un ordine, se volete venire con me non mi opporrò», sorrise Nim con gratitudine.

«Lo vogliamo!» assicurò Alyssa.

«Quale strada consigli, Wilhem?» chiese Nim.

«L’unica strada è quella che percorre la Foresta di Caldera, che passa davanti all’Antica Abbazia e tra le prime due colline dei Tre Draghi. Quindi, oltrepassata Filla, essa attraversa il Ponte di Granito», disse Wilhem.

«La conosco! Ci sono passato per venire a Jamoor, ma non c’è una scorciatoia?»

«Non ci sono altri ponti per attraversare il fiume Narn, prima del lago», confermò Alyssa, «io però conosco un barcaiolo che abita al vecchio mulino del lago di Nola. Potrebbe portarci lui, con la barca, a Pewick.»

«Mi sembra un’ottima idea. Impiegheremo meno tempo ed eviteremo di incappare nei tamrai e problemi di lasciapassare», Nim accettò con entusiasmo la proposta, «guidaci, Alyssa», le disse.

«Potremmo seguire il corso del torrente Vela, ma ho paura che la foresta sia molto fitta e potremmo trovare anche l’ostacolo naturale delle rocce e della stessa collina di Argalyn, molto impervia in un tratto al confine col corso d’acqua. Credo che la cosa migliore sia percorrere la strada principale fino all’Antica Abbazia. So che, lì vicino, inizia un sentiero che passa ad est della collina di Argod e che porta nella piana, fuori della foresta, proprio nei pressi del mulino», propose Alyssa.

«Va bene. La nostra prima tappa sarà l’Antica Abbazia. Pernotteremo lì», disse Nim spronando il cavallo lungo la strada principale, verso sudovest. Wilhem e Alyssa accodarono i loro cavalli dietro di lui.

«Dobbiamo sbrigarci!», sollecitò Agor, «e siamo tenuti ad essere prudenti. I tamrai potrebbero venire a cercarci. Non seguiremo la via principale, ho in mente di prendere un sentiero, che attraversa la Foresta di Caldera passando ad oriente della collina di Argod. Il viottolo si ricongiunge alla strada principale presso l’Antica Abbazia.»

«Bene, ti seguo», la ragazza si fidava ciecamente del mago, montò a cavallo e tolse il laccio con cui aveva legato, momentaneamente, i capelli: preferiva portarli sciolti.

Galopparono per buona parte della giornata, si fermarono per riposare e far prendere fiato ai cavalli solo quando ebbero raggiunto il sentiero in mezzo alla foresta.

Agor provvide con una magia a far sparire le loro tracce dal punto in cui avevano lasciato la strada principale. L’erba abbassata si risollevò, gli sterpi rotti ritornarono interi e ogni traccia del loro passaggio sparì.

La sosta fu, però, breve. Ripresero subito il cammino, Agor aveva deciso che si sarebbero fermati a riposare, solo appena giunti in vista dell’Antica Abbazia.

Era ormai buio, quando videro le luci del lugubre luogo sconsacrato. Il mago decise di tenersi, in ogni modo, alla larga dall’abbazia. Scelse, per accamparsi, una delle tante grotte presenti nel versante nord della collina: da lì si vedeva, in lontananza ed in basso, l’antica struttura immersa tra gli alberi. Si vedeva anche un tratto della strada che passava davanti ad essa.

«Qui dentro potremo anche accendere un fuoco, farò una magia che impedisca alla sua luce di uscire dalla grotta», disse Agor poggiando lo zaino a terra e conducendo i cavalli a distanza dal punto in cui aveva deciso di sistemare il focolare.

«Maledetto idiota!», urlò furioso Kaf Kep Nay, «Ti sei fatto sfuggire un vecchio e una ragazzina. Razza di stupido incapace.»

Il capo delle guardie osservò, con terrore, le furiose pupille dilatate del generale.

«Pensaci tu, Dan Hek! Non voglio sporcarmi le mani con simile marmaglia», ordinò al tamzin tuk, agitando la mano in modo sdegnato.

Lo stregone annuì, quindi volse gli occhi sul capo unità. Il soldato avvertì l’urto della mente del mago dentro la sua: sembrò che le pupille ipnotiche dello stregone gli trapanassero il cervello. Il soldato sguainò la spada, ma non per colpire Dan Hek. Cercò di opporre resistenza alla tortura mentale che stava subendo. Ancor più quando comprese che il bersaglio della sua spada era sé stesso, ma non ci riuscì. Puntò la spada sul suo petto, le braccia tremarono in uno spasmo frenetico, un freddo sudore imperlò la sua fronte.

«Coraggio», sussurrò il mago direttamente nella sua mente, «un solo istante e la tua sofferenza finirà.»

Il capo delle guardie tremò nell’opporre un’ultima flebile resistenza, ma infine si trafisse il cuore con la sua stessa spada. La sofferenza era veramente finita, il dau tan cadde a terra, riverso in un lago di sangue.

«Dan Hek, è chiaro che c’è un mago di mezzo. Chi pensi possa essere?» chiese il generale al tamzin tuk.

«Di maghi così potenti, da riuscire a piegare nella tela magica ben tre soldati contemporaneamente, ce ne sono pochi al mondo. Qui nella Terra di grund potrebbe trattarsi di un mago molto vicino a re Inghard, sparito moltissimi anni fa. Di lui nessuno ha saputo più niente. Credo possa essere Agor Asrander di Riland», ipotizzò lo stregone tamrai.

«Bene! Io devo tornare a Nay Ra per il genetliaco dell’imperatore. Voglio che ti occupi, personalmente, di questa faccenda. Prendi una decina di uomini con te e vai a Riland. Non voglio facciate soste, dovete arrivare lì prima possibile. Voglio quell’anello a tutti i costi», ordinò il generale.

«Sì, mio Uahn», disse inchinandosi, il mago.

«Nel periodo che sarò assente, sarai tu al comando del mio esercito, qui nella Terra di Grund, anche re Thamas sarà ai tuoi ordini. Ti riterrò responsabile di quanto accadrà, nel bene e nel male. Ottomila uomini torneranno, via nave, in patria. Gli altri tremila soldati, che rimarranno qui, provvederai a distribuirli, una o due compagnie per parte, nelle varie città della Terra di Grund. Dovranno avere l’ordine firmato da re Thamas per prendere possesso di tutte le città. Nelle città di Pinion e Limongero, patria dei due principi morti ad Ingbrook, ho già mandato nostre compagnie.»

«È un onore per me, non vi deluderò, generale. O posso già chiamarvi imperatore?» rise malefico lo stregone.

«Lo spero per te! Ci sarà tempo per chiamarmi in quella maniera. Ora non dirlo più: anche le mura hanno orecchie» e, ciò detto, il generale lo congedò chiedendogli di mandare qualcuno per portar via il cadavere dalla sua stanza.

L’alba scacciò via la notte e mandò via Nim e i fratelli Jarret dall’abbazia. I tre erano già fuori, quando il sole iniziò a pennellare le prime cime degli alberi della silente foresta. Alyssa aveva, ben presto, trovato il sentiero; i due uomini la seguivano chiacchierando tra loro. Improvvisamente la guerriera scese da cavallo e fece segno ai due di tacere.

«Wilhem, vieni con me, tu Nim resta qui ai cavalli. Scusatemi se mi permetto di dare degli ordini, ma ho i miei buoni motivi», disse a bassa voce.

«Che cosa c’è sorella?» chiese Wilhem, sempre a bassa voce, appena le fu vicino.

«In quella grotta, lassù, ci sono delle persone, andiamo a vedere di chi si tratta», disse indicando una delle grotte poste più in alto del punto in cui il sentiero s’inerpicava.

«Ma cosa c’importa, non è meglio continuare sulla nostra strada?» disse, un po’ infastidito, il fratello.

«Potrebbero essere amici e, in tal caso, nessun problema», spiegò Alyssa, «ma potrebbero essere nemici e, in questo caso, è meglio che siamo noi a fare una sorpresa a loro e non viceversa.»

La logica di Alyssa non faceva una piega, pensò Wilhem e la seguì in silenzio.

«Aspetta qui, coprimi le spalle», disse la guerriera, che sembrava aver preso decisamente il comando delle operazioni, entrando con cautela nella grotta.

Avanzò un po’ più in profondità e, abituati gli occhi alla semioscurità, vide la brace accesa e accanto al bivacco due persone addormentate. Tolse di colpo, tirando con la sinistra la coperta dal primo corpo, e puntando la spada con la destra ma si accorse, con sgomento, che si trattava solo di un fagotto realizzato con gli zaini. Sotto la seconda coperta trovò invece una ragazza che si svegliò in quell’istante. Le tappò subito la bocca per non farla urlare e le puntò la spada alla gola «Zitta, se ci tieni alla vita», le disse con fermezza.

«Ferma, lasciala andare», urlò una voce alle sue spalle. Agor si era premunito da eventuali incontri indesiderati.

«Fermati tu, vecchio», intervenne Wilhem prendendo il braccio dell’uomo, torcendolo dietro la schiena e puntandogli la spada dietro il collo.

«Cosa volete da noi? Volete i nostri soldi? Eccoli», disse Ecyl tirando fuori il borsellino col denaro, «Non fate, però, del male ad Agor.»«Non siamo ladruncoli. Deciderà il nostro signore, cosa fare di voi. Prendete la vostra roba e seguiteci», ordinò Alyssa.

Agor aveva paura di fare qualsiasi tentativo, non voleva mettere in pericolo la vita di Ecyl. E quei due sembravano gente sveglia ed esperta.

I quattro scesero il sentiero dove, in basso, c’era Nim in attesa.

Il cuore di Nim iniziò a battere forte. Era proprio Ecyl la donna che scendeva il viottolo, condotta da Alyssa?Nim scese da cavallo in un balzo ed urlò «Ecyl! Ecyl!»Ecyl vide Nim correre verso di lei, diede uno strattone e si divincolò da un’Alyssa stupefatta.

«Nim! Oh Nim!» e si lanciò verso di lui. Agor sorrise alla scena, mentre Wilhem, capì cosa stesse accadendo e lasciò il braccio del vecchio.

Nim le corse incontro abbracciandola forte e baciandola con passione. Ecyl si sentì travolta da quel bacio, e lo ricambiò con altrettanta passione, per lunghi interminabili secondi. Poi si ritrasse inorridita: come poteva baciare così suo fratello?

«Sei in collera con me?», disse lui, «Se è così ti capisco, sono andato via senza dirti quello che provavo per te...»

«Zitto, non parlare così!», urlò lei interrompendo le sue parole e correndo tra le braccia del mago, travolta dai singhiozzi.



Portale EFFECI - © 2002-2016 Francesco Colella - E-mail: francesco@fcolella.com