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Firenze, 6 Ottobre 2024 (Domenica)
LE SPADE DI SINRASIL

Capitolo 7
Pewick

Il capitano tamrai lasciò la tenda del generale in preda ad un tumulto di pensieri. Sapeva che non sarebbe stato facile trovare il soldato filliceno in Filla. Poteva, inoltre, trattarsi di un mitomane o di false notizie. Aveva bisogno, però, di scoprire la verità se non voleva finire con la testa tagliata. Fu scosso da un fremito e rabbrividì al pensiero. Del resto era convinto di averlo ucciso. Per salvare la sua testa sarebbe bastato dimostrare che questi era morto.

Arrivato nella sua tenda, studiò, attentamente, una mappa del posto: vide che a valle del punto, dove avevano colpito il filliceno, c’era il piccolo villaggio di Pewick. Decise di iniziare, l’indomani, le indagini proprio da lì.

Al capitano bastò poco per sapere che, circa tre settimane prima, proprio all’epoca del suo inseguimento, una ragazza aveva salvato un uomo dal fiume: al villaggio lo chiamavano “tallen vat”, vale a dire “colui salvato dalle acque”. Zor Kul Dau impallidì a questa notizia, sentì mancare il respiro e si toccò la gola deglutendo.

«Chi è questa ragazza?», chiese furioso alla vecchia che stava interrogando.

Yelda, era terrorizzata, non riuscì a rispondere, né avrebbe voluto farlo, ora che aveva compreso le cattive intenzioni del tamrai.

Il capitano aveva imparato dal suo generale l’arte della persuasione. Guardò la vecchia con disprezzo, mentre premé il pugnale, di traverso, sulla gola della donna.

«Dimmi chi è la ragazza o ti taglio la gola facendoti morire lentamente e con lunga sofferenza», disse con voce roca e rotta dalla collera.

A quel gesto Akemi, la cockerina di Yelda, iniziò ad abbaiare e a ringhiare contro il capitano tamrai e tentò di mordergli una gamba. Il capitano imprecò e poi reagì furioso con un calcione che fece volare lontano la cagnetta.

«Uccidetela!», ordino ai suoi arcieri.

Due frecce si conficcarono una nella testa e una nel torace della cagnolina. Il pelo champagne fu irrorato da due profonde macchie rosse. Un leggero guaito accompagnò la fine della povera bestiola.

Yelda urlò di dolore e disperazione.

«Stai zitta! Smetti di urlare!», grido Zor Kul Dau, «Dimmi piuttosto il nome della ragazza, se non vuoi fare la fine della tua bastardina.»

La reticenza della vecchia e le sue urla provocarono la furia del capitano che, in un fremito di collera, premette ancor più il pugnale, affondando la lama sul collo della donna.

Yelda, più che il dolore, avvertì il calore umido del sangue scorrere sulla sua pelle e iniziò a parlare in preda al terrore: «Si chiama Ecyl! Vive nella capanna di Vincent Chawt, la penultima del villaggio in direzione del Bosco di Eswold.»

Un ghigno malefico illuminò il volto di Zor Kul Dau: «Non mi servi più, vecchia», e con un rapido colpo di pugnale le recise la gola.

La porta della capanna si spalancò di colpo e Vincent sussultò. Il capitano tamrai irruppe all’interno con i suoi soldati. «Sei tu Vincent Chawt?», chiese senza esitazioni il capitano.

«Voi, piuttosto, chi siete? Cosa ci fate nella mia casa?», fu la risposta del vecchio.

«Le domande le faccio io! Voglio sapere dove si trova Ecyl», urlò il capitano.

Vincent lo guardò terrorizzato: «Ecyl non è più qua!», riuscì infine a proferire.

Il tamrai afferrò per un braccio il vecchio e lo trascinò a sé facendolo scivolare giù dal letto: «Stai mentendo!», gli urlò avvicinando i suoi occhi a quelli di Vincent.

«No! E per qual motivo dovrei mentire?», chiese l’anziano malato sostenendo il suo sguardo.

«Per salvare tua figlia, vecchio! Ma in realtà puoi proteggerla ugualmente. Non è lei che m’interessa, bensì l’uomo che ha salvato, tempo fa, dalle acque del fiume», la voce del capitano si era rabbonita ed era diventata più suadente. «Dimmi allora dove si trova quell’uomo e la vita di tua figlia, nonché la tua, sarà salva.»

Il vecchio sembrò titubare, ma infine disse: «Quell’uomo, il tallen vat, si trova proprio con mia figlia.»

La voce di Zor Kul Dau si riempì d’ira: «Vecchio, credi di poterti prendere impunemente gioco di me?», urlò sferrando un micidiale destro sul viso di Vincent.

Il vecchio rimase stordito e senza fiato per qualche istante, poi riuscì a parlare: «No! È la verità! Sono andati via tre o quattro giorni fa, diretti a Filla».

Zor Kul Dau impallidì. Il soldato filliceno era veramente a Filla, non aveva tempo da perdere. Se voleva salvare la sua testa, doveva correre nella capitale e trovarlo.

«Per la preziosa informazione che mi hai dato, vecchio, non ti ucciderò subito», disse sguainando la spada e affondandola nel ventre di Vincent, «ma, per aver aiutato il filliceno, ti dono un lento viaggio verso le amorevoli braccia di Uahn Keimat».

«Zor Kul Dau, incendiamo la capanna?», chiese uno dei soldati.

«Sì, pensaci tu e raggiungici. Ai cavalli!», urlò agli altri suoi soldati, «di corsa a Filla!»

Il soldato prese un tizzone ardente dal focolare. Volute di fumo acre iniziarono a sprigionarsi dalle pareti e dai mobili che il tamrai toccava col legno acceso. Completata l’opera, il soldato balzò a cavallo e lo lanciò al galoppo sulle orme dei suoi compagni.

Ecyl aveva perso le tracce del cervo, ma questo semplice fatto non poteva essere la causa della sua improvvisa sensazione di malessere. Anche Bora sembrava irrequieta. La ragazza si volse in direzione di Pewick e notò, oltre le cime degli alberi, la colonna di fumo nero che saliva verso il cielo. L’angoscia fece un forte balzo nel suo petto. Con fulminea agilità saltò in groppa a Bora e spronò il cavallo in direzione del villaggio.

Ecyl uscì dal bosco e arrestò la cavalla guardando attonita in direzione della collina dove si trovava la sua casa. Nel punto esatto, dove si aspettava di vederla, notò alte lingue di fuoco che salivano al cielo offuscandolo di denso fumo nero. Spronò Bora in direzione delle fiamme, sembrava che queste albergassero ora dentro il suo animo causando turbinii di cupi sentimenti.

La capanna era ormai completamente avvolta dal fuoco, quando arrivò nei pressi. Iniziò ad urlare: «Padre, padre!», in preda ad un terrore mai provato prima. Nonostante il fuoco, oltrepassò la soglia fiammeggiante, entrò nella capanna e penetrò il denso fumo accumulatosi all’interno. Vincent era riverso sul pavimento e premeva le mani insanguinate sul suo ventre. Il vecchio alzò il suo sguardo attonito e un leggero sorriso illuminò il volto, quando vide la sua bambina.

Era ancora vivo! Ecyl lo afferrò per le braccia e, nonostante fosse in preda al panico e alla tosse, riuscì a trascinarlo fuori, all’aperto. La ragazza lo adagiò a terra tra l’erba e notò con orrore lo squarcio sanguinante sul ventre del vecchio. Corse a prendere dell’acqua dal secchio del pozzo per pulire la ferita. Premette delle garze su essa per cercare di tamponare il sangue. Eseguì una frettolosa e rudimentale fasciatura.

«Chi è stato a farti questo?», chiese la ragazza, con la voce rotta dall’affanno, mentre calde lacrime rigavano il suo viso.

Il vecchio aprì gli occhi, fino allora socchiusi, e disse in un filo di voce: «Un capitano tamrai, i soldati lo chiamavano Zor Kul Dau, credo sia lo stesso che tentò di uccidere Nim...», nonostante la fatica continuò a parlare, «...ti cercavano per sapere da te dove fosse colui che avevi salvato. È lui che, in realtà, stavano cercando, credo per ucciderlo. Ho detto loro che era con te e che eravate andati entrambi a Filla. Sembra che ci abbiano creduto, perché si sono allontanati subito al galoppo. Non volevo che ti trovassero, avevo paura per te.»

«La pagheranno! Zor Kul Dau morirai!», urlò la ragazza con odio e volgendo lo sguardo verso il cielo, «Ma ora devo pensare a te, devo curarti», disse in maniera più dolce al vecchio padre.

«Bambina mia!», disse Vincent in un filo di voce, «non c’è più tempo ormai.»

«Non è vero, io ti salverò. Vado da Agas, lui ci aiuterà.»

«Non c’è tempo!», ripeté più fievolmente. Ora le parole uscivano con gran fatica dalla sua bocca: «Ho da dirti una cosa importante, che non ho mai avuto il coraggio di dirti prima», ma anche ora Vincent sembrava non trovare l’animo per continuare. Il vecchio tacque e guardò la figlia negli occhi accarezzandole una guancia con la mano insanguinata.

«Cosa vuoi dirmi, padre», lo sollecitò la ragazza poggiando le mani sulle spalle del vecchio.

«Tua madre ed io...», il vecchio faceva sempre più fatica nel parlare: l’affanno della grave ferita ma anche la gravità delle parole, che stava per proferire, lo frenarono.

Ecyl lo guardò con occhi tristi, una lacrima scese dal suo bel viso, quando sentì rammentare la mamma.

«Che cosa vuoi dirmi, padre?», chiese con tenerezza, mentre iniziò a singhiozzare.

«Tua madre ed io...», ripeté il vecchio, «...non siamo i tuoi veri genitori», infine le parole superarono la barriera del cuore e uscirono dalla bocca di Vincent.

Ecyl lo interruppe, il viso della ragazza era solcato dalle lacrime e parlava tra i singhiozzi: «Ma cosa stai dicendo? Non capisco.»

«Anche tu sei una “tallen vat”, ti abbiamo salvata dalle acque del fiume», rispose con un filo di voce, ma con estrema serietà il vecchio Vincent, «avevi un mese, forse due, quando ti abbiamo raccolta. Eri in una culla di vimini, con te uno strano libro, le pagine erano tutte bianche, e degli oggetti che ho nascosto in una nicchia alla base del pozzo. Cercali! Addio figlia, perché per me sarai sempre la mia bambina. Kuolem, mia signora, accoglimi tra le tue amorevoli braccia.»

Le parole erano uscite dalla bocca di Vincent in soffi leggeri, emettendo, insieme con esse, flebili lamenti. Poi il respiro si spense e Vincent Chawt reclinò il capo verso destra.

«Padre, padre! Non andare, resta con me!» urlò disperata la ragazza, afferrando le spalle del genitore adottivo e scuotendolo con forza. Ma il vecchio era spirato tra le sue braccia, il volto sereno significava che Kuolem aveva accolto la sua preghiera.



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