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Firenze, 6 Ottobre 2024 (Domenica)
LE SPADE DI SINRASIL

Capitolo 8
Una notte movimentata

L’ascesa al trono di Thamas di Xeropol, ufficialmente e apertamente appoggiato dai tamrai, aveva fugato gli ultimi dubbi presenti nella mente di Nim. I soldati tamrai lo avevano inseguito perché lo ritenevano uno degli eredi al trono, in altre parole il principe Philip di Jamoor o il principe Nigham Rathcliff. Nim non aveva ora più dubbi sulla sua prossima tappa nella ricerca del passato: Pinion, capitale del principato di Jamoor o Limongero, capitale del principato dei Rathcliff. Scelse la prima, poiché Pinion era più vicina a Filla di quanto non lo fosse l’altra città. L’intenzione era quella di verificare se lui fosse uno dei due personaggi temuti dai tamrai. Se fosse stato il principe Philip, a Pinion lo avrebbero, di sicuro, riconosciuto.

Pinion si trovava nell’estremo nord del regno, a circa tre giorni di cammino da Filla. La città era un importante porto sul Mare delle Nebbie. In essa fervevano apprezzabili attività commerciali, come nella tradizione fillicena. Dal porto di Pinion partivano, tra le molte altre, navi cariche del legname più pregiato della Terra di Grund: quello proveniente dalla smisurata Foresta di Ebano. L’ebano costituiva una delle principali ricchezze del principato: la famosa Porta di Cristallo era stata realizzata usando tale legname.

Nim chiese informazioni al buon Grewill su come raggiungere, nel modo migliore, la città di Pinion. L’oste aveva sgranato gli occhi nell’apprendere che lo straniero voleva affrontare quel viaggio da solo. Lo aveva messo in guardia dai pericoli insiti nel passaggio attraverso la Foresta di Caldera: luogo buio e misterioso, in dei tratti inesplorato, e ricco di lugubri leggende e superstizioni. Tra le più vive e paurose, quelle sulle Colline dei Tre Draghi, che si ergevano nel cuore della foresta, e in cui sembrava fossero imprigionati gli spiriti di tre terrificanti draghi. Altre brutte leggende, da far accapponare la pelle, si narravano sull’Antica Abbazia, un oscuro palazzo che sorgeva minaccioso tra gli alberi secolari e cupi della foresta. Ma il luogo più pauroso e sinistro era la Torre dei Demoni. Grewill rabbrividì solo nel nominarla, e assicurò che non avrebbe mai intrapreso quel viaggio da solo, per tutto l’oro del mondo. L’oste consigliò a Nim di farsi accompagnare da qualcuno e di evitare, in ogni modo, l’Abbazia e la Torre prendendo la strada che passava per Ridde. Da lì poteva proseguire per la Roccaforte di Taumarik. Per questa strada avrebbe impiegato un giorno, forse due, in più, ma avrebbe viaggiato più sicuro.

Nim, però, non prestò ascolto al consiglio: non era superstizioso e poi era solo e non avrebbe potuto ottenere la scorta di nessuno. Sciolse gli ultimi dubbi della sua mente e maturò la convinzione di avere assoluta necessità di conoscere il suo passato. Anelava, inoltre, sapere la sua vera identità quanto prima. Era pronto a correre qualsiasi rischio: morire non lo spaventava, perché vivere senza memoria era com’essere già morti.

Le ombre della sera avevano iniziato ad ammantare i vicoli stretti di Filla, i raggi del sole morente sparivano, pian piano, scacciati via dalle tenebre. L’ombra allungata, del vicino colle di Filla Alta, aveva aggredito gran parte della piazza della porta nord, quando Nim uscì dal vicolo semibuio per immettersi nella stessa.

Un brivido di freddo percorse il corpo di Nim, mentre si apprestò ad oltrepassare la porta nord per lasciare la città.

«Ehi, tu! Hai un lasciapassare?», lo apostrofò il capitano delle guardie che presidiavano la porta.

Nim lo guardò sgranando gli occhi: «No! Non credevo occorresse un lasciapassare per uscire dalla città», rispose in tono incredulo.

«Mi spiace, ma ho ordini precisi da parte di Re Thamas: nessuno può entrare o uscire da Filla senza un lasciapassare», disse il capitano allargando le braccia.

«Ma ieri, per entrare, non mi è stato chiesto nessun lasciapassare. Io voglio solo tornare a casa, a Pewick», protestò Nim, indicando fuori della porta.

«Niente da fare», disse la guardia scuotendo la testa, «è un ordine del nuovo re. Eravamo liberi di circolare nel reame, quando regnava Inghard, ma ora quei tempi sono finiti. Procurati un lasciapassare e ti lascerò tornare a casa.»

Nim annuì sconsolato e, in modo lento e pensieroso, tornò sui suoi passi e imboccò il vicolo da cui era venuto. La notte era scesa, più buia e nera dei suoi pensieri.

Si trovava davanti un problema che non aveva previsto. Un dilemma di non poco conto: come avrebbe potuto ottenere un lasciapassare, se non sapeva nemmeno chi lui fosse. Una profonda angoscia s’impadronì di lui. Non conosceva nessuno, non c’era alcuno, nei suoi ricordi, per quanto sforzasse la mente. Non sapeva proprio a chi poter chiedere aiuto. In quel momento maledì, ancor più, la sua scellerata memoria.

In realtà aveva conosciuto qualcuno, dopo la perdita della memoria. La prima persona che affiorò nella sua mente fu Ecyl. La dolce Ecyl, capace di aiutarlo in maniera disinteressata, capace di slanci che non appartenevano a tutti gli esseri umani. In quel momento buio della sua vita, capì che la ragazza era l’unica persona su cui potesse fare affidamento ad occhi chiusi. Nim pensò a lei con nostalgia e si diede più volte dello sciocco: come poteva averla lasciata? Eppure lo aveva fatto.

Un’altra donna si fece largo, a spallate, nel buio della sua mente: non era Ezianne, pensò a Mary. Una donna con le sue “risorse” forse avrebbe potuto procurargli un lasciapassare. Percorse, affrettando il passo, la lunga strada verso la piazza del mercato, qui curvò a destra e quando oltrepassò il Tempio di Maelma entrando nella Piazza Centrale, la vista della Locanda del Corno Bianco riportò la speranza nel suo cuore.

Entrò nell’accogliente tepore della taverna. Si guardò intorno cercando di penetrare con lo sguardo l’allegra e soffusa atmosfera del locale. Mirò i tavoli, uno per uno, ma non la vide: Mary non c’era. Si avvicinò allora al bancone e lanciò sul tavolo cinque pezzi d’argento che emisero note care alle orecchie dell’oste. «Grewill. Sei in grado di dirmi dove posso trovare Mary?»

«Non occorre tu paghi», lo rassicurò con un sorriso il taverniere, «credo che Mary sia a casa, abita qui vicino. Esci dalla locanda e vai dalla parte opposta della piazza. Là, dopo tre piccoli gradini, inizia un vicolo stretto e cieco; percorrilo e in fondo troverai una porta di legno con arco in pietra. Bussa tre volte, se vuoi che ti sia aperto», spiegò l’oste, mentre con il cencio continuava a lustrare, con cura maniacale, il lucido bancone.

«Grazie Grewill. Prendi, lo stesso, le monete; voglio offrirti un boccale di birra. Già che ci sei, danne uno anche a me, ne ho proprio bisogno», disse spingendo le monete verso l’oste.

Bevve in fretta, quel liquido aspro e forte, e si sentì sollevato. Salutò con un cenno della mano e si avviò verso la porta. Appena uscito dalla locanda fu pervaso da una strana sensazione: gli sembrò d’essere stato catapultato per un breve ma intenso attimo, nella piana di Ingbrook. Notò, con la coda dell’occhio, l’arrivo, dalla sua sinistra, di un drappello di soldati tamrai. Ebbe la sensazione sgradevole di averli già visti, notò in loro qualcosa di stranamente familiare. Ebbe una reazione istintiva, come l’aveva avuta ad Ingbrook, e si mosse rapidamente verso destra, nascondendosi dietro l’angolo della locanda. S’acquattò, smorzando il respiro, in una zona riparata e buia. Sentì arrivare, nitida, la voce del capitano. Non ebbe dubbi aveva già sentito quel particolare tono: lo riconobbe. Risentì nella mente la stessa voce, nel fragore delle cascate, che diceva: «Il filliceno! Uccidetelo.»

Zor Kul Dau parlava ai suoi soldati: «State in guardia e pronti. Dalle informazioni che ho avuto, ieri sera il filliceno era in questa locanda. Se è ancora qui, non deve uscire vivo», poi impartì gli ordini: «Voi due, andate a vedere se c’è un’uscita sul retro e presidiatela. Tu e tu, rimanete a guardia qui davanti alla porta, non fate uscire nessuno. Gli altri tre con me. Entriamo!» e, ciò detto, spinse con vigore la porta della locanda.

Quanto ascoltato non lasciava più alcun’ombra di dubbio: si trattava proprio dei suoi inseguitori e, cosa peggiore, erano determinati a sopprimerlo. Ma come avevano fatto a trovarlo così presto? Era solo da un paio di giorni a Filla. Si acquattò in un angolo buio del vicolo e trattenne il fiato. I due soldati, diretti sul retro, passarono davanti a lui abbastanza di corsa per poterlo notare. Forse era stata Mary a tradirlo, era l’unica a sapere che lui fosse il sopravvissuto della battaglia di Ingbrook. Ripensò a quando la donna aveva accennato all’episodio delle Cascate di Twilly, sembrava conoscere molto bene la storia, esserci ben dentro. Pensò anche a quello che sarebbe accaduto di lì a poco: il capitano tamrai e i suoi uomini stavano sicuramente già interrogando l’oste. Conoscendo i loro metodi, Nim non aveva dubbi che sarebbero riusciti a sapere dove lui fosse diretto: i tamrai sarebbero andati a cercarlo a casa di Mary.

Secondo le indicazioni di Grewill, la casa della donna era oltre la piazza e in fondo ad un vicolo cieco. Andarci poteva equivalere a mettersi in trappola da solo. Nim non aveva tendenze suicide, ma nello stesso tempo non aveva altre idee su come ottenere il lasciapassare: giunse alla conclusione che doveva rischiare. C’era anche un altro aspetto a cui pensò, e forse la sua coscienza gli impose di considerarlo seriamente: doveva avvertire Mary perché la riteneva in pericolo. Il suo cervello scacciò, però, subito lo scrupolo: e se la donna fosse in combutta con gli stessi tamrai? Questo avrebbe spiegato la loro, così rapida, presenza alla taverna. La coscienza si ribellò al ragionamento: e se non fosse stata d’accordo con loro, non andare l’avrebbe, quasi certamente, condannata a morte. La sua coscienza combatté una difficile battaglia con la ragione e l’avrebbe persa, se non fosse stato per la questione del lasciapassare. Nim decise infine di andare da Mary.

C’era anche un altro problema, da non sottovalutare: le due guardie davanti alla taverna l’avrebbero visto e forse fermato. Ma forse anche no, avevano ordine di controllare che nessuno uscisse dalla taverna e, se faceva bene la parte del passante, non si sarebbero curate di uno che attraversava tranquillo la piazza. Fece attenzione che non lo vedessero uscire dal vicolo e quindi, simulando di provenire dal Tempio di Maelma, iniziò lentamente a percorrere la piazza. Aveva vinto il primo round, le guardie lo osservarono senza troppo interesse.

Arrivò agli scalini, seguì le indicazioni di Grewill e raggiunse facilmente la porta con l’arco in pietra.

«Salve oste!» disse il capitano Zor Kul Dau, con il caratteristico accento gutturale dei tamrai e poggiando le mani sul bancone, «Stiamo cercando un filliceno.»

«Qui siamo tutti filliceni», sorrise l’oste, indicando con la mano la gente presente nella taverna.

«Vuoi prendermi in giro?», si arrabbiò il tamrai afferrando l’oste e trascinandolo a sé oltre il bancone, «Quello che stiamo cercando è arrivato l’altra sera. Alto, capelli scuri.»

«Questa descrizione corrisponde a tante persone», si lamentò Grewill.

Il capitano prese il suo pugnale e fece un taglio sulla guancia dell’oste, poi in tono sprezzante disse: «Questo ti aiuterà a non fare confusione e a dirmi dove posso trovarlo.»

L’oste esitò ancora, ma infine crollò: «È andato da Mary. Qui, di fronte alla piazza, in fondo al vicolo.»

Il capitano spostò il pugnale eseguendo un deciso taglio sull’altra guancia dell’incredulo e terrorizzato Grewill. «Questo per il tempo che mi hai fatto perdere», poi rivolto ai suoi soldati ordinò: «Presto andiamo!» e s’incamminò a grandi passi verso l’uscita.

Nim bussò tre volte sul portone e rimase in attesa. Gli attimi sembrarono interminabili, non sentì nessun rumore provenire dall’interno, solo il battito forte del suo cuore. Finalmente avvertì dei passi, oltre la porta, e riconobbe la voce di Mary che chiedeva: «Chi è?»

«Sono Nim, aprimi Mary.»

«Non riesci a scordare i miei baci, eh tesoro!», gli disse la donna con le mani sui fianchi, e con un sorrisetto, appena lo vide sulla soglia.

Nim entrò chiudendo la porta dietro le spalle e spingendo la prostituta contro il muro.

«Ehi, che irruenza, mi fai male», si lamento Mary.

«Sei stata tu a tradirmi con i tamrai?» disse in tono irato Nim schiacciando, col suo peso, la ragazza contro la parete.

«Ma cosa vai farfugliando!», urlò la donna, poi proseguì con tono più basso ma sempre sostenuto: «A parte che i tamrai non mi stanno affatto simpatici. Perché parli di tradimento?», la donna era visibilmente offesa e respinse con forza Nim lontano da sé.

«Eri l’unica a sapere...», urlò spingendola di nuovo contro il muro e puntando il dito indice sotto il mento della ragazza, «...qui a Filla, che io ero scampato al massacro di Ingbrook. I tamrai, che mi hanno inseguito per uccidermi, proprio in questo momento, sono entrati nella locanda del Corno Bianco per cercarmi», spiegò Nim in tono furibondo.

«Possenti dei! Ieri c’era un branco di quegli insopportabili idioti che si vantava della potenza del loro impero, del fatto che ad Ingbrook nessun filliceno era potuto sfuggire alla loro forza devastante. Ad un certo punto non ho potuto più resistere e ho dovuto dirgli che avevo conosciuto un giovane e valoroso filliceno che si era salvato dalla strage. Non credevo, però, con questo di tradirti.»

La rabbia di Nim sbollì, guardò la ragazza negli occhi: Mary non cercò di sfuggire il suo sguardo, ma, anche lei, lo guardò sicura nelle pupille. Nim capì che Mary stava dicendo la verità.

«C’è un’uscita posteriore in questa casa?» chiese Nim rilassandosi e mollando la presa sulla ragazza.

«No, solo una finestra che da su un cortile. Ma perché me lo chiedi?» Mary lo guardò perplessa.

«Non perdiamo altro tempo, dobbiamo fuggire!» disse il ragazzo, afferrandola per un braccio.

«Perché dici dobbiamo fuggire? Sei tu quello che cercano», rispose lei in tono aspro, divincolandosi con forza.

«Ho due buoni motivi: uno valido per me e uno per te», disse lui con voce ferma, guardandola con occhi gravi e indicando il numero con le dita della mano sollevata.

«Che intendi dire?» ora la donna era anche curiosa.

«Che quella è gente pericolosa e spietata. Potrebbero arrivare qua per pretendere informazioni sotto minaccia di morte, e potrebbero ucciderti, anche se tu gli dici dove mi trovo», spiegò Nim con fare agitato.

«E a te cosa importa se mi uccidono? Qual è il tuo buon motivo?» chiese con sarcasmo.

«Ho bisogno del tuo aiuto per ottenere un lasciapassare! Devo uscire assolutamente da Filla.»

«Sei venuto da me solo per questo?!» il tono della ragazza era risentito: «Ah, già. Non si può voler bene ad una prostituta. Non è vero, quindi, che tenevi alla mia vita.»

«Non dire sciocchezze! Dobbiamo andare», Nim la afferrò per le braccia scuotendola.

La ragazza si divincolò e urlò: «Non lascio la mia casa senza un valido motivo.»

Nim mentì: «Sono venuto solo perché mi stava a cuore la tua vita. Qui sei in pericolo, i tamrai sono esseri malvagi. Vieni ora, ti supplico», e la prese per mano con dolcezza.

In quel momento sentirono dei colpi al portone.

«Aprite! O sfondiamo la porta», una voce gutturale urlò da fuori.

«Eccoli! Puntualissimi, che ti dicevo. Non fare la sciocca Mary dobbiamo fuggire», la implorò Nim iniziando a tirare la sua mano.

«Ma che carini! Hanno proprio delle belle maniere», ironizzò la ragazza, poi proseguì: «Andiamo via dalla finestra». Mary aveva cambiato espressione all’improvviso: forse convinta da Nim, forse dalla paura per la sua vita. I tamrai erano alla porta e con intenzioni non certo amichevoli. Ora i timori paventati da Nim erano diventati reali.

«Vieni!» e stavolta fu la donna a tirare la mano di Nim.

La ragazza scavalcò con agilità il davanzale della finestra calandosi giù nel cortile. Nim la seguì con un balzo. Lei lo prese di nuovo per mano e lo condusse tra i vicoli. I due furono inghiottiti dal buio.

«Ora pernottiamo da una mia amica fidata. Vedrai ci accoglierà volentieri in casa sua. Domattina andrò alla Caserma Nord dal capitano Gilles, è un amico. Gli chiederò un lasciapassare per me e mio fratello Walter per recarci a trovare nostra sorella Kathyl a Ridde», pianificò infine la prostituta.



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