Si alzarono molto prima che l’alba si liberasse delle tenebre notturne. Vincent non era affatto contento della decisione della sua bambina, di accompagnare lo sconosciuto in quel posto così lontano. Cercò, a più riprese, di dissuadere la figlia ma senza successo: la caparbietà della ragazza ebbe ancora una volta la meglio.
Nim comprese lo stato d’animo del vecchio e cercò di tranquillizzarlo: «Non preoccuparti, Vincent, non gli succederà niente di male. Devo a Ecyl la vita e la proteggerò a qualsiasi costo.»
Vincent annuì, ma in realtà non s’era affatto tranquillizzato.
Ecyl si chinò per baciare la fronte del vecchio, poi, senza aggiungere altre parole, uscì nella bruma fredda del mattino. La ragazza si diresse decisa verso la stalla, voleva salutare Bora. Era la prima volta che Ecyl si allontanava da casa senza di lei: non la portava con sé perché Nim era a piedi e anche perché i sentieri di montagna non sarebbero stati agevoli per la cavalla. La baciò teneramente sul muso e le parlò: «Tranquilla, “occhi blu”, tornerò presto.»
Riempì la mangiatoia di fieno e prelevò dell’acqua fresca dal pozzo versandola nell’abbeveratoio della stalla. Sparse in terra una cospicua quantità di granaglie per i polli.
Nim approfittò di quel tempo per sistemare, con cura, sulle spalle lo zaino che gli aveva consegnato Ecyl.
«Per raggiungere le Cascate di Twilly seguiremo il sentiero che s’inerpica attraverso il Bosco di Eswold. Risulta più lungo, ma anche più sicuro, rispetto alla risalita lungo la sponda del fiume Narn. Il viottolo si chiama Sentiero delle Quattro Cascate perché porta alle Cascate di Twilly e poi prosegue fino alle Cascate Gemelle», proferì Ecyl appena fu pronta a partire.
«Ti seguo!», esclamò lui incamminandosi dietro di lei.
In quel momento il chicchirichi di un gallo ruppe l’aria annunciando il nuovo giorno.
Ecyl percorse un centinaio di passi lungo un sentiero in direzione del sole nascente, un bagliore rosso, ad oriente, iniziò a rischiarare la cima delle montagne. La ragazza arrestò la sua marcia davanti alla capanna di Agas. Il vecchio era già sveglio e lavorava seduto accanto all’uscio di casa. Era concentrato nell’intrecciare delle strisce di canna per realizzare un cesto. Parte dell’opera era già abbozzata e il vecchio mostrava una discreta abilità artigianale.
«Che gli dei ti siano propizi, Agas», augurò Ecyl sollevando il braccio in segno di saluto.
Il vecchio alzò il suo sguardo, perennemente pensieroso, e ricambiò l’augurio, senza interrompere il lavoro: «Anche a te, dolce e leggiadra Ecyl.»
Agas aveva un’età indecifrabile: era di sicuro il più anziano di Pewick, ma non era originario del villaggio. Vi era apparso, d’improvviso, quando Ecyl era ancora in fasce, e, da allora, non aveva più lasciato la sua attuale dimora.
La corporatura esile del vecchio Agas era in disarmonia con l’altezza, che superava quella di Nim di diversi centimetri. Aveva una bianca barba, riccia e folta, un naso severo separava due occhi neri e penetranti. I capelli, contrariamente alla barba, erano lisci e lunghi, di un colore bianco striato da venature grigie. Le folte sopracciglia invece erano nere: la canizie della vecchiaia non le aveva colpite.
Sembrava che il vecchio eccellesse in qualsiasi azione. Aveva, più volte, dimostrato di essere un ottimo artigiano e, ancor più, un esperto di piante. Conosceva un gran numero d’erbe che crescevano nella foresta di Eswold e con esse sapeva curare le persone. Gli abitanti del villaggio lo rispettavano e ricorrevano a lui per avere cure ai loro malanni fisici e, a volte, anche mentali. Aveva, da sempre, dimostrato di possedere una profonda saggezza.
Agas aveva, tra l’altro, aiutato Ecyl nel curare le ferite di Nim: aveva fornito le erbe e le indicazioni necessarie per utilizzarle.
Il vecchio continuò il suo lavoro, intrecciando con abilità e sveltezza le flessibili strisce, e chiese con tono garbato: «Andate su, verso le cascate?»
«Sì», rispose Ecyl.
«Non è proprio una giornata adatta per fare una gita lassù. Quei nuvoloni neri non promettono nulla di buono», avvertì Agas con un cenno del capo in direzione della montagna.
La ragazza scrollò le spalle e, dopo un cenno di saluto al vecchio amico, s’incamminò decisa sul sentiero in salita che correva verso il bosco. Nim salutò anch’egli il vecchio, con un cenno della mano, e riprese a seguire Ecyl.
Agas interruppe il lavoro, seguì con lo sguardo i due giovani, finché non scomparirono tra gli alberi. Finalmente il suo volto fu rischiarato da un sorriso.
Ecyl e Nim salirono curvi, e nell’ordine, il tortuoso sentiero che s’inerpicava tra le fronde delle selci e gli arbusti disseminati tra gli alberi del bosco di Eswold.
Di tanto in tanto la ragazza si fermava, raddrizzava la schiena per guardare in avanti, verso l’alto e per asciugare il sudore della fronte con un candido fazzoletto. Ispirava a pieni polmoni quell’aria salubre, condita dai penetranti aromi delle rade conifere che iniziavano a fare da intermezzo tra il bosco di latifoglie, e dall’inebriante fragranza del rosmarino. Si rifocillava con essi e riprendeva il cammino con rinnovato vigore.
Il sole, di rado coperto da qualche nuvola, picchiava sulle loro teste infuocate, li seguiva e li sopravanzava: era ormai molto alto nel cielo.
Ecyl decise di fare una sosta. Guardò il volto stanco di Nim e lo rassicurò, almeno cosi credé di fare con le sue parole: «Coraggio, siamo circa a metà cammino.»
La ragazza si sedette di fronte a Nim, all’ombra di un pino, su una pietra invasa dal muschio. Guardò verso l’alto per controllare l’andamento del tempo: i nuvoloni indicati da Agas erano ancora lì, minacciosi, tra le cime delle montagne. Il cuore di Ecyl fu preso dal nostalgico scendere delle prime foglie d’autunno: una pioggia leggera, asciutta e silenziosa. Il suolo del sottobosco n’era già stato, in parte, tappezzato.
Nim cercò con gli occhi una pietra su cui sedersi: la vide. Prima di accomodarsi, però, si avvicinò alla ragazza, le poggiò, con delicatezza, le mani sulle spalle e guardò serio i suoi lucenti occhi, due specchi sul cielo: «Ecyl, non so proprio come ringraziarti», le disse con espressione riconoscente.
«Per cosa?», chiese lei scuotendo il capo e con ricca meraviglia.
«Per il tuo aiuto. Per quanto hai fatto e continui a fare per me, pur non sapendo niente sul mio conto», spiegò l’uomo ritirando una mano e poggiandola sul proprio petto.
Un pallido rossore apparve sulle guance della ragazza, che lo dissimulò rispondendo sicura: «Beh, lo faresti anche tu per me!»
«Puoi starne certa», affermò Nim con sicurezza, mentre le toglieva una foglia che si era deposta sui neri e lunghi capelli. Nim la guardò a fondo, era la prima volta che si trovava, da solo, così vicino a lei. Era proprio bella, e aveva nello sguardo una dolcezza che intenerì il cuore di Nim. La mente del ragazzo si era avviata su sentieri molto pericolosi e Nim la bloccò, la atterrò, la sotterrò.
«Pensi che pioverà?» Le chiese d’improvviso, cambiando discorso e mettendo a tacere le sue sensazioni.
«Il vento fa cadere le foglie, ma sembra che non voglia, almeno per oggi, far precipitare acqua: soffia allontanando le nuvole. Credo di no», fu la previsione della ragazza.
Nim si sedette sulla pietra, che aveva adocchiato, allontanandosi da lei. Mise lo zaino sulle ginocchia e tirò fuori del pane e delle polpette preparate la sera prima da Ecyl.
I due approfittarono della sosta per rifocillarsi.
«Buone!», esclamò mentre l’uomo le gustava, «Sei brava in tutto, non ho mai conosciuto una persona come te». Questa affermazione si spense subito, però, nella mente di Nim. In realtà non ricordava niente di quello che aveva conosciuto in passato. Questo pensiero gli impedì di notare il profondo rossore apparso sul volto di Ecyl.
«Grazie, sei gentile», si limitò a constatare la ragazza, nascondendo un certo imbarazzo: una sensazione che non aveva mai provato in vita sua.
Il sole li aveva accompagnati per tutta la giornata, ma infine li aveva abbandonati: era tornato a dormire dietro le montagne opposte. Le ombre della sera avevano iniziato a soffocare la foresta, ma non riuscirono a nascondere i rumori: alle loro orecchie arrivò finalmente il lontano fragore della prima cascata.
Circa un’ora dopo Nim riconobbe il luogo in cui era caduto, trafitto dalle frecce. Guardando di nuovo l’abisso capì che un vero miracolo, oltre ad Ecyl, lo aveva salvato.
«È stato qui, sono caduto là sotto», disse ad Ecyl indicando in basso.
La ragazza osservò, meravigliata, il profondo salto e si chiese se una persona umana potesse sfidarlo senza perire. Evidentemente sì, visto che Nim era lì, vivo.
Nim iniziò ad ispezionare i cespugli nei dintorni, mentre la ragazza guardava, pensierosa, lo scorrere spumoso del Narn in fondo alla gola.
Il ragazzo scansò, varie volte, le fronde con le mani, incurante delle ferite inferte dagli aghi dei ginepri, sempre speranzoso di aver trovato l’arbusto giusto. Infine la sua costanza fu premiata: sotto le appuntite foglie di uno dei ginepri, erano ancora celati la sua armatura, lo zaino e la spada.
Nim emise un grido di soddisfazione, Ecyl lo raggiunse, mentre il giovane stava recuperando gli oggetti.
Lo sguardo della donna si posò sullo zaffiro della spada: «Bella spada!» esclamò con convinzione, «Sono affascinata dallo zaffiro triangolare. Cosa significa la runa incisa sulla lama?» chiese indicandola.
La domanda rese Nim scontroso.
Ecyl se n’accorse: «Scusami! Se non puoi dirmelo, non importa», proferì la ragazza con tono avvilito e abbassando gli occhi.
Nim fu dispiaciuto d’averla mortificata. Non era proprio in grado di rispondere alla domanda. L’uomo si avvicinò alla ragazza, allungò le dita sul suo mento sollevandolo con dolcezza. La guardò con occhi tristi: «Scusami tu! Sono io che sono fatto male.»
La sera successiva, quando giunsero a casa, il vecchio Vincent, pur felice di vederli sani e salvi, li accolse con espressione triste. Ecyl se n’accorse: «Cosa c’è, padre? Cos’è successo?», chiese allarmata.
Il vecchio padre aveva brutte notizie e iniziò a parlare con voce grave: «Ero in pensiero per voi. Ieri sera sono passati in paese diversi drappelli di soldati tamrai, provenienti da Ingbrook e diretti a Filla. Hanno fatto baldoria, rubato maiali, vino, polli e hanno saccheggiato la verdura dell’orto di Ellys. La cosa peggiore, però, è che lui si è arrabbiato ed ha reagito col suo forcone: sai com’è geloso, il vecchio Ellys, del suo orto.»
«Dei misericordiosi», esclamò Ecyl, «e cosa è successo dopo?»
«È stato sgozzato, come un capretto, da un capitano tamrai», affermò Vincent con orrore.
«Maledetti!» urlò Nim stringendo i pugni. Erano dunque i tamrai i suoi sicari ed ora avevano portato la morte a gente innocente ed inerme.
Ecyl, alla notizia, si sentì mancare e dovette sedersi: «Come lo hai saputo?» chiese passandosi una mano sopra la fronte.
«È venuta Yelda a riferirmelo, ed era sconvolta», spiegò Vincent.
Passarono i giorni. Nim ed Ecyl andavano spesso a caccia insieme. Tra loro era nata una naturale amicizia.
Un giorno, in una di quelle battute di caccia, Ecyl permise a Nim di cavalcare Bora, disponendosi dietro di lui.
«Reggiti forte!», disse Nim facendo un po’ lo sbruffone, «Andremo come il vento.»
Ecyl rise: «Credi d’essere più bravo di me nel guidarla? Lo sai che basta una mia parola e non riuscirai nemmeno a farle muovere un passo?», lo sfidò la ragazza.
«Vediamo se dici il vero», Nim accettò la sfida.
«Stai ferma Bora, non ti muovere di un solo passo», comandò Ecyl.
Nim accarezzò il collo della cavalla e le parlò: «Bora, so che le vuoi bene, ma ti chiedo di non darle ascolto, solo una volta.»
«Yaah!» urlò poi Nim, dando un colpo coi talloni sul ventre della cavalla.
Bora schizzò in avanti con un rapido guizzo. Ecyl prese la strada opposta volando all’indietro, con un tremendo tonfo a terra, e ruzzolando poi in fondo al leggero fosso che delimitava il sentiero.
Nim fermò subito il cavallo. Si girò e, con orrore, la vide esanime.
«Ecyl, Ecyl», urlò sperando in una risposta, «Dannazione, che stupido idiota che sono!»
Saltò in piena agitazione giù dal cavallo e la raggiunse, in un breve attimo, chinandosi su di lei. Vide i suoi occhi chiusi, le palpebre coprivano le sue iridi azzurre, Nim decise che era proprio bella. Era rimasto a fissarla, come inebetito.
Ma infine il volto della ragazza s’illuminò in un sorriso. Ecyl riaprì gli occhi e gli gettò le braccia intorno al collo. La ragazza era felice di vederlo così vicino. Non pensava alla caduta, ma solo a lui e n’era rimasta anche un po’ sconcertata.
La sua perfetta bocca rossa, evidenziava, ancor più, i bianchissimi denti. Nim non era mai stato così vicino a lei. Gli sembrò di sentire martellare forte, perfino il cuore della ragazza, o forse era il suo. Si rese conto che stava per baciarla, ma si fermò d’improvviso affranto dai pensieri: cosa poteva offrire alla ragazza, se non sapeva nemmeno niente di sé: magari aveva già una famiglia. Represse così il suo desiderio.
Anche Ecyl si aspettava, da un momento all’altro, che lui la baciasse: in quel momento non desiderava altro.
Nim si scosse dal suo torpore: «Ecyl, per gli dei! Stai bene?», chiese infine con apprensione.
«Ora sì!», rispose la ragazza, anche se era rimasta un po’ delusa.
«Sono proprio un idiota! Perdonami», si addolorò Nim con piena sincerità.
«Stupida sono stata io a non credere alle tue potenzialità! Bora mi ha tradito», ma era felice che la cavalla lo avesse fatto.
Passarono altri giorni. Ecyl si rese, conto che qualcosa di misterioso e imperscrutabile si trovasse tra lei e Nim. Nonostante questo, la sua mente correva spesso da lui. Temeva che Nim non ricambiasse i suoi pensieri, forse provava solo gratitudine perché lo aveva salvato. Nim non sembrava considerarla nella maniera in cui lei avrebbe voluto e questo la faceva star male. Non riusciva a comprendere il perché, per la prima volta non seppe trovare una logica spiegazione alla sua sofferenza, a quel genere di tormento mai provato prima di allora.
Nemmeno Bora riusciva a consolarla, nemmeno a lei riusciva a confidare i suoi pensieri: all’improvviso Ecyl si sentì sola.
Vincent parve accorgersi del tormento della ragazza e pretese da lei che lo “sconosciuto”, ormai in grado di rimettersi in cammino, fosse allontanato dalla sua casa. Ma Ecyl stava male solo a questo pensiero e non voleva assolutamente assecondare suo padre.
Nim, da parte sua, era sempre più ossessionato dal pensiero di scoprire chi fosse. Giorno dopo giorno, era tentato di rimettersi in viaggio. Qualcosa lo frenava, ma non riusciva a capire cosa. Forse perché non aveva idea di come proseguire la sua ricerca o forse, più probabilmente, perché si trovava bene con Ecyl, si sentiva come a casa.
Nim era un tipo testardo, un carattere deciso e sicuro, un vero uomo d’azione e stava ormai per cedere al desiderio di ripartire. Egli non era certo un cinico, ma era più portato a seguire la ragione che il cuore. Era abbastanza schivo nel rapportarsi con gli altri, ma con le poche persone che raggiungevano il suo cuore era estremamente leale e generoso. Un amico fidato, per chi fosse riuscito ad ottenere la sua amicizia. Uno dei suoi principali difetti era, come ammetteva lui stesso, la sua impulsività. Spesso agiva seguendo più l’istinto che la ragione ed in questo era un po’ in contraddizione con sé stesso.
Quella mattina era partito, all’alba, per andare a caccia: aveva trovato, la sera prima, delle orme di cervo e intendeva catturarlo. La giornata, non proprio bella e con il vento autunnale che ormai aveva iniziato a spirare sempre più costante, non aveva, in ogni modo, scoraggiato il giovane.
Ecyl avrebbe voluto accompagnarlo, ma aveva anche da fare in casa.
La ragazza stava mettendo, come consuetudine, in ordine la capanna quando inavvertitamente urtò lo zaino di Nim facendolo cadere a terra.
“Speriamo non si sia rotto nulla”, si rammaricò nella sua mente. Decise così di aprire lo zaino per controllare. Notò subito il ritratto di Ezianne. Guardare il bel volto della donna bionda fu come ricevere una pugnalata in pieno cuore. Ma effetto peggiore provocò la lettura della dedica: “dalla tua amata moglie Ezianne.”
Ecyl gettò il ritratto dentro lo zaino e corse via, dietro lo sguardo meravigliato di Vincent che provò inutilmente a chiamarla. La ragazza andò a piangere da Bora. Tra i singhiozzi Ecyl s’interrogò: perché aveva avuto quella reazione? La ragazza capì di essere innamorata di Nim.
A sera Nim tornò recando sulle spalle un bel cervo. Ma Ecyl non lo accolse con il solito sorriso. L’uomo non sembrò farci caso e andò vicino al pozzo per sistemare la sua preda.
La ragazza lo raggiunse e infine, dopo lunghi minuti di silenzio, ebbe il coraggio di chiedergli: «Perché non me lo hai mai detto?»
«Cosa?», chiese Nim distrattamente, mentre continuava a scuoiare il cervo.
«Che sei sposato!», esclamò la ragazza con voce irritata e velata di tristezza.
Nim lasciò cadere a terra il coltello e fermò il suo lavoro. Si girò verso di lei e la guardò spalancando gli occhi e aggrottando la fronte. Ecyl gli piaceva, ma non aveva mai veramente pensato a lei da quel punto di vista: non avrebbe potuto, né dovuto. Ora che ne vedeva gli occhi belli e lucidi arrivò sul punto di gettare dietro le spalle i suoi scrupoli, desiderò abbracciarla e baciarla. E fu difficile resistere a tale desiderio: Ecyl era proprio bella, ancor più di quella donna del ritratto che ancora non aveva imparato a riconoscere. La ragazza gli aveva salvato la vita, era in debito con lei, ma certamente non avrebbe potuto fingere, per questo, un sentimento che forse non provava o non avrebbe dovuto provare. Lei era una ragazza splendida, coraggiosa, buona, aveva tante virtù, mentre di sé stesso non sapeva niente. Si reputò, in quel momento, un essere cinico e senza cuore, ma non se la sentì di dire la verità alla ragazza. Non voleva dirle di aver eretto una barriera tra loro, perché lui non esisteva come persona, perché non sapeva niente di sé stesso. Era un segreto che non si sentì di svelare, anche se non comprendeva il perché. Riuscì solo a dire, con sguardo spento: «Vuoi che vada via?».
La ragazza non gli rispose, si girò e si avviò di corsa nella breve discesa verso la stalla. Non voleva che lui la sentisse piangere. Sembrava che anche il tempo avesse deciso di piangere: prima che varcasse la porta della stalla, Ecyl fu raggiunta da una fitta e improvvisa pioggia.
Ecyl si gettò, in lacrime, sul giaciglio realizzato nel pagliericcio accanto a Bora. Solo il sonno, molto più tardi, riuscì a lenire, in parte, la sua sofferenza.
Si svegliò al canto del gallo. Aveva ancora la morte nel cuore: rivide il volto triste di Nim, quando gli aveva posto la domanda a cui lei non aveva risposto. In cuor suo non voleva che andasse via.
Uscì dalla stalla e si avviò verso casa: era tornato a splendere il sole, ma non nel suo cuore.
Diede un bacio sulla fronte del vecchio padre e poi si girò verso il letto che aveva ceduto a Nim: era intatto. Il ragazzo non c’era più; era partito la sera prima lasciando un semplice biglietto. Il dolore sembrò gonfiare nel suo petto, man mano che scorreva, con gli occhi umidi, le parole: “Addio Ecyl, grazie per quello che hai fatto per me, ma ti prego non odiarmi.”